Di Alessandro Paesano – In occasione della settimana contro il razzismo promossa dall’UNAR, presso i locali del I Municipio di Roma in via della Greca 5, il circolo Anddos-Gaynet Roma ha organizzato la tavola rotonda Straniero e omosessuale nella quale si è parlato delle discriminazionidelle persone stranieresulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, con particolare attenzione alla questione dell’effettiva esigibilità del diritto d’asilo nel nostro Paese e alle difficoltà relative incontrate dai funzionari e dalle persone direttamente coinvolte.
Cristina Franchini, dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – UNHCR dopo aver ripercorso agevolmente la storia giuridica della discriminazione in base all’orientamento sessuale e all’identità di genere (dalla convenzione di Ginevra ai diritti comunitari) ha individuato le problematicità del riconoscimento del diritto d’asilo in base a questa discriminazione sia nella difficoltà da parte delle persone straniere richiedenti di riconoscersi il diritto specificoin quanto omosessuali, gay e lesbiche, sia l’incapacità delle istituzioni – incaricate di riconoscere quel diritto – di saper valutare in termini scevri da pregiudizi la veridicità delle storie raccontate e delle richieste presentate.
Criticità che sono state affrontate nelle linee guida in materia di protezione internazionale n.9 redatte dall’UNCHR tra le quali sonos tate ricordate la formazione dei funzionari e funzionare che devono decidere circa l’accettazione delle richieste d’asilo, e la sensibilizzazione e lavoro contro i pregiudizi anche delle stesse persone richiedenti.
Valentina Itri, responsabile numero verde per Richiedenti e Titolari di Protezione Internazionale ARCI, è entrata nello specifico dei rapporti tra cittadini e cittadine migranti e istituzioni italiane, ricordando come il percorso di autocoscienza che porta le persone straniere giunte in Italia a rendersi conto del proprio vissuto di discriminazione, non percepito come tale nei paesi di origine, abbia bisogno di tempo e di come, paradossalmente, i tempi burocratici, tanto della richiesta (10-16 mesi) quanto dell’eventuale ricorso in caso di rifiuto in prima istanza (fino a 20 mesi), permettano loro di elaborare una consapevolezza sui propri diritti violati.
In questo percorso hanno una funzione importante le associazionilgbt che possono costituirsi come momento di sollecitazione e di esempio di un vissuto positivo e consapevole del proprio orientamento sessuale.
Altra funzione delle associazioni, ha ricordato Marco Canale, è quella di socializzazione, attraverso i circoli ricreativi nei quali vivere attivamente la propria sesualitàe la propria affettività.
La giornalista Delia Vaccarello ha ricordato nel suo intervento importanza di uno di questi locali di ritrovo per uomini ai quali piacciono gli uomini che costituiscono per i cittadini (e le cittadine) migranti un porto franco essendo normalmente le comunità locali di connazionali molto conservative e tragicamente omofobe.
L’intervento delle associazioni lgbt è stato richiamato anche da Franchini e, prima ancora, da Cristiana Russo dell’Unaar, che auspicato una collaborazione tra agenzie governative e internazionali e associazioni sempre più capillare e cooperativa.
L’intervento delle istituzioni e quello delle associazioni deve operare un cambiamento culturale che consenta loro di assumere un punto di vista altro ed evitare di applicare a contesti diversi categorie e idee di rapporti amorosi affettivi e sessuali troppo occidentali e colonizzatori.
Lo hanno ricordato, con argomentazioni e punti di vista diversi, Ennio Trinelli direttore di gaiatalia.com e Gianpaolo Silvestri, già senatore, che sono arrivati però a una conclusione molto simile.
Se in alcuni paesi stranieri come l’Algeria la parola gay non esiste nella lingua araba, bisogna trovare un lessico comune e condiviso per aiutare le persone straniere ad avere coscienza di sé nei termini e nella misura della loro cultura di origine e non in quella di provenienza (Ennio Trinelli).
Non bisogna dimenticare poi che certe giustificazioni date rispetto atteggiamenti di intolleranza o discriminazione non possono essere avvallate in nome di una irriducibile differenza culturale e che i valori dell’accoglienza vanno richieste senza esitazione anche alle persone dalle quali ci si aspetta che manchi (Gianpaolo Silvestri).
Usare le differenze culturali come giustificazione della discriminazione per l’orientamento sessuale significa usare il razzismo per giustificare l’omofobia evidentemente
percepita come meno grave rispetto altre forme di discriminazione.
Considerazioni che meriterebbero un approfondimento maggiore di quello che possiamo dare qui e che, invece, sono stati affrontati ampiamente durante il convegno che è stato videoripreso e che presto verrà proposto online.
- I volontari del circolo Anddos-Gaynet Roma
- Intervento di Cristina Franchini
- Intervento di Valentina Itri di Arci Nazionale
- Intervento di Delia Vaccarello
- Da sinistra a destra – Danilo Nota, Valerio Martello (Soci Anddos-Gaynet Roma), Rosario Coco, Alessandro Paesano, Mauro Cioffari (Consigliere I municipio), Valerio Mezzolani (segreteria naz. Gaynet)
- Ennio Trinelli e Valentina Itri
- Intervento di Rosario Coco (Presidente Anddos-Gaynet Roma)
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